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AIDS, 40 anni dopo: la ricerca continua a portare risultati

Milano, 30 nov. (askanews) – A 40 anni dalla sua comparsa, l’AIDS è ancora una malattia che colpisce molte persone nel mondo, anche se mediaticamente appare essere stata silenziata. Nel corso del tempo però sono anche stati fatti enormi passi avanti nella ricerca di terapie, che oggi portano risultati molto significativi. Ne abbiamo parlato, in occasione del XX Congresso SIMIT a Milano, con il virologo Giovanni Di Perri, direttore Malattie infettive all’ospedale Amedeo di Savoia di Torino.

"Oggi – ci ha detto – nelle migliori condizioni di esercizio terapeutico le aspettative di vita di un soggetto affetto da HIV si approssima a quella della popolazione generale. Quindi questo è al momento il miglior obiettivo raggiungibile, ma non lo raggiungono tutti. Ci sono variabili legate al momento dell’infezione quando viene iniziata la terapia, legate all’aderenza, quindi a fattori comportamentali dell’individuo, ma anche alle caratteristiche dei farmaci che oggi impieghiamo".

In particolare sul tema della ricerca sul virus HIV si muove fin dagli anni Ottanta anche Gilead, casa farmaceutica che ha lanciato per prima i farmaci a singola assunzione e lavora allo sviluppo di nuovi trattamenti long acting, che hanno l’obiettivo di trovare una cura per la malattia attraverso approcci innovativi.

"C’è stata un’evoluzione molto interessante – ha aggiunto il professor Di Perri – sia scientificamente sia per le ricadute cliniche che ha dato, quella della farmacopea retrovirale. Oggi abbiamo una pretesa di cura e di mantenimento del risultato che si fonda su un’attività antivirale intrinseca estremamente potente dei farmaci, su una loro tollerabilità che ha raggiunto valori che solo dieci anni fa sarebbero sembrati un sogno; abbiamo una affidabilità e una facilità di assunzione: questa storia iniziò con tre prese giornaliere di diverse pillole, oggi siamo alla singola pillola che contiene tre molecole".

Una situazione che semplifica e, in un certo senso anche demitizza un contesto terapeutico che aveva preso il via, come dice lo stesso professore, "con una certa drammaticità" e che ha aperto scenari diversi sui quali la scienza e la ricerca continuano a lavorare.

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