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Adriano, Giorgia e gli altri malati di Huntington: “Non esiste una cura, ma anche questa è vita”

Da qualche anno, maggio è il mese internazionale dedicato alla consapevolezza sulla malattia di Huntington, una rara patologia del sistema nervoso centrale. Si manifesta in diverse forme intorno ai 45-50 anni, anche se esistono rari episodi in età giovanile, e si tratta di una malattia ereditaria (detta anche còrea di Huntington) che in Italia ha un’incidenza di circa un caso ogni 10.000 persone. “Ci sono persone che hanno prevalentemente sintomi motori e persone che hanno prevalentemente sintomi comportamentali -spiega Antonio Fontana, presidente dell’Associazione Italiana Huntington Emilia-Romagna-. Poi c’è un’evoluzione nel tempo: si parte da una situazione in cui tutto sommato la persona riesce ancora muoversi liberamente, fino a un progressivo decadimento che porta, nel giro di 15-20 anni, all’allettamento e poi alla morte, che però non è legata tanto alla malattia, quanto agli effetti collaterali. Ad esempio -continua Fontana-, al fatto che ci sono problemi di deglutizione, perchè la persona non riesce a mangiare o il cibo va nei polmoni. Oppure, alle cadute continue, perchè siccome si perde l’equilibrio con una certa facilità, le fratture diventano uno dei problemi principali”. Lo sanno bene anche Chiara e Mariarosa, sorelle rispettivamente di Adriano e Giorgia, da qualche anno alle prese con l’Huntington, che vivono a Piacenza. A proposito di risultati delle ricerca scientifica, Fontana spiega: “Purtroppo, ad oggi, dei veri risultati non sono stati ottenuti. Pareva che un farmaco, il Tominersen della Roche, potesse essere risolutivo, invece recentemente è stato comunicato che veniva sospesa la sperimentazione in quanto non produceva risultati rispetto al placebo. E anche la Wave, che utilizzava un principio analogo ha deciso di interrompere la sperimentazione”. La corsa contro il tempo verso una terapia è quindi tutta in salita, ma bisogna fare presto. Ogni figlio di una persona portatrice del gene della còrea ha il 50% di probabilità di ereditarlo: attraverso un test genetico è possibile sapere la diagnosi anche prima rispetto all’insorgenza dei sintomi, ma in molti, come Chiara, preferiscono non sottoporsi all’esame. “Visto che non ci sono cure preventive -dice-, non l’ho fatto”.

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