Erano le 22:39 del 9 ottobre 1963 quando dal monte Toc si staccò l’enorme frana che, precipitando nel lago artificiale della diga, generò la potentissima onda d’acqua e detriti che rase al suolo Longarone e buona parte delle valli circostanti: 1910 morti, dei quali 487 bambini, restarono uccisi da quella che più volte è stata definita la madre di tutte le tragedie. Tragedia sì, ma prevedibile, come la storia e i processi hanno accertato. La frana, di natura paleolitica, era nota ai tecnici della Società Adriatica Di Elettricità (Sade), che aveva curato il progetto e la realizzazione della diga nell’arco di tre decenni. Eppure, nonostante questo e nonostante le avvisaglie di una natura mai domabile, niente fu fatto per impedire un destino già scritto. Ma sei decenni dopo il disastro, cosa resta del Vajont? Quale lezione avremmo dovuto imparare e in che misura l’abbiamo effettivamente appresa? Grazie alle parole di sopravvissuti, scrittori, giornalisti, alla conoscenza del geologo Mario Tozzi e alla sensibilità del maestro Remo Anzovino proviamo a rispondere a queste domande ripercorrendo la storia del disastro.
Di Edoardo Bianchi e Andrea Lattanzi
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